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Un’amica a cui ho inviato la foto di un museo a 2.300 metri d’altezza, mi risponde “Come mai sei andata fin lassù? “

Una domanda che può sembrare banale ma porta ad un'altro interrogativo che mi sono sentita porre molte volte: "Cos'è il viaggio per te?"


La mia risposta è in un progetto, che partendo da questo diario di viaggio, vuole diventare un format tv, si chiama Travel One.

Spesso faccio fatica a scrivere, perché viaggio e vivo intensamente, aperta all’energia dei luoghi, alle voci della natura e delle storie umane che incontro. Per scrivere ho bisogno di razionalizzare quello che ho interiorizzato nella sfera più importante per me, l’emozione.

Con Travel One voglio raccontare le scoperte che ogni viaggio porta con sè, intendendo il viaggio come incontro/confronto umano, alla ricerca di messaggi apportatori di nuove consapevolezze. Insieme alla contemplazione della natura, non solo per farsi emozionare e consolare dalla sua bellezza, ma anche come grande fonte di ispirazione. Infine, ma non da ultimo, il viaggio sperimentazione di libertà, intesa come ritrovamento di quell’istinto primordiale che necessita di non pianificare ogni dettaglio, per spingerti verso i luoghi e gli eventi che "devi attraversare".

Il verbo attraversare non è casuale, perché parte dall’idea che il viaggio, come l’esistenza, sia un mosaico di luoghi/esperienze, le cui tessere compongono un percorso più ampio della nostra conoscenza della vita.


Quindi, tornando alla domanda “Come mai sei andata fin lassu’? “ rispondo, che solo rivivendo nella scrittura i fatti della giornata, scopro il senso di quello che ho “attraversato”.


Eccomi dunque a questa mattina. Mi sono svegliata presto e piena di energia, con l’idea di andare a camminare intorno al lago di Braies. Alle sette sono già vestita, pronta a saltare la colazione per raggiungere la mia meta lontana un bel po’ di chilometri.

Invece alzo gli occhi verso il cielo un po’ velato e appena al volante di Sherpa, la micro macchina che da settimane mi trasporta su e giù dalle montagne, decido che invece andrò in cima ai 2.275 metri del Plan de Corones, in Val Pusteria, non lontano da Brunico.

Perchè cambiare idea all'improvviso e senza una ragione precisa?

Perchè lo posso fare, senza infastidire nessuno, viaggio da sola! E questo mi permette anche di rimanere sempre in contatto con il mio istinto.

La funivia apre poco dopo il mio arrivo, sono la prima e unica passeggera.

La donna allo sportello è raggiante, mi dice sorridendo che è appena scesa da Plan de Corones in bicicletta dopo aver verificato gli impianti, e che quella discesa mattutina, nel silenzio della montagna ancora deserta, è il momento più bello della sua giornata.

Gli occhi azzurri emanano l’energia luminosa di chi ha appena vissuto la felicità.

E’ solo dentro la cabinovia traballante che mi balena il pensiero “Ah, ma io soffro di vertigini, adesso cosa succederà?”. Aspetto di sentire il solito dolore acuto alle gambe che mi viene in quei casi, invece niente. Non sto nella pelle, senza rendermene conto, ho vinto una sfida e sembra che sia del tutto guarita.

Ridacchio da sola nello scatolotto di plexiglass appeso alla fune, mentre guardo giù i sentieri e le mucche al pascolo diventare sempre più piccoli.

Amo le montagne, che qui sono distribuite in una corona che spazia dalla Marmolada fino alle vette della Val Venosta. All'arrivo sono completamente sola in cima al mondo. Allargo le braccia, girando lentamente su me stessa, guardo con gli occhi socchiusi le mie mani che sfiorano le vette con la punta delle dita.

Mi sento impregnata di quel senso del sacro che fa ancora pensare a uomini di tutte le culture, che le montagne siano abitate da spiriti divini.

Mi siedo su una panchina nel mezzo di questo paradiso, gustando la colazione che mi sono portata e che oggi sembra la più buona del mondo.

Dall'altra parte del piano intanto arrivano i primi visitatori.

Un gruppo di giovanissimi ciclisti sono stati trasportati in cima con le loro mountain bikes, per guizzare giù lungo i pendii fino a valle. Penso allo stuolo di adolescenti incollati a telefonini e monitor, eccoli qua i diversi, quelli che mettono alla prova il corpo e vincono le paure in sfide contro se stessi immersi nell'autorevolezza della montagna.

Concentrata a scrutare massici, vette, macchie di neve, canaloni di terra grigia e le ombre in movimento delle nuvole, non mi sono accorta che non lontano da me, un uomo sta aprendo un parapendio sull’erba.

Mentre con cura meticolosa riordina gli innumerevoli cavi e li fissa a grossi moschettoni, tiene d’occhio una manica a vento e dei nastri che si alzano e abbassano a seconda della forza del vento. Ogni tanto si gira, esamina il pendio dove si lancerà, alza lo sguardo verso l’orizzonte, prende le misure del lancio.

Poi si richiude in se stesso, immobile, gli occhi verso il basso, in una concentrazione così grande, da non accorgersi di una piccola folla che si è radunata sul prato sopra di noi per guardarlo.

Poi tutto accade in un attimo, alza le braccia all’improvviso, il vento gonfia la vela, una breve corsa e via!

E’ già in volo. Mi immedesimo in quell’istante in cui si stacca da terra e galleggia sulle correnti ascensionali. Intuisco appena cosa può provare a guardare sotto di sé il mondo lontano, nel silenzio e nel distacco dalle cose. Decido all’istante che voglio farlo anch’io, ora che ho vinto le vertigini lo farò in coppia con un istruttore. Sicuramente urlerò.

Mentre mi dirigo verso la costruzione più interessante del Plan de Corones, il Museo della Montagna di Messner, osservo al centro del piano tre grandi tende che suggeriscono un avamposto indiano, mi hanno detto che sono il villaggio Kikeriki dove i bambini possono provare il loro coraggio su varie strutture installate accanto ai tradizionali tipi'.

Nell'aria appare un altro deltaplano, questa volta multicolore, sorvola il Museo a cui sono diretta e sembra che voglia atterrare proprio lassù.

Il grande alpinista altoatesino Reinhold Messner ha voluto questo Museo della Montagna e una famosa architetta irachena, Zaha Hadid, l’ha progettato. Questa collaborazione tra culture e talenti diversi è stata molto fruttuosa, l'architettura di Zaha svetta sulla montagna, è bello poter guardare da vicino il lavoro della mia architetta preferita.

L'interno è sorprendente, le linee prospettiche alterate che caratterizzano sempre il suo lavoro, appaiono qui come una perfetta metafora delle pareti delle montagne.

Celebrate in questi spazi avveniristici da quadri antichi e moderni, da vecchi ritratti in bianco e nero e riprese aeree ardite delle cime più alte del mondo, le montagne raccontano le storie di chi in tutti i tempi per loro ha sfidato la morte.

Di fronte al coraggio dimostrato in queste sfide, mi sento piccola piccola e mi fa bene ridimensionare le mie conquiste nel confronto con chi ha scritto “L’assassinio dell’impossibile?”

Sì, dobbiamo imparare a uccidere le nostre paure.

Passo davanti ai pensieri dei grandi che hanno ispirato le loro imprese.

Rifletto sul rapporto tra la concretezza con cui Walter Bonatti ha conquistato la parete nord del Cervino e la sua concezione del sogno.

Nella minuscola sala dove si proietta un bellissimo film delle cime più alte del mondo e dei grandi alpinisti che le hanno scalate, sono emozionata.

Immagini di uomini appesi a mani nude su pareti verticali smisurate, soli e fragili di fronte all’immensità della montagna.

Assistere alla bellezza che l’essere umano libero e coraggioso può esprimere, turba le mie emozioni e scuote ogni certezza.

All’improvviso entra nella saletta una ragazza con un grosso zaino sulle spalle, da cui fuoriesce la testina di un bimbo con il ciuccio in bocca, un tettuccio sopra la testa.

Si ferma in un angolo, appoggia a terra lo zaino, stacca il tettuccio, lei e il piccolo seguono con attenzione le immagini sullo schermo. Quando inizia la musica, il bimbo esprime la sua contentezza con gridolini entusiasti.

Esco dal museo proprio nel momento in cui inizia a suonare la grande campana posta al centro del piano. La Campana della Pace, che suona ogni giorno alle dodici perchè Dio doni pace ai popoli. Il suono maestoso interrompe tutte le attività intorno e risuona su valli e crinali. Mi fermo per ascoltare e proprio accanto a me i gridolini del bimbo di prima, attirano la mia attenzione. E' seduto con la mamma su una coperta sul prato e saltella entusiasta, ama quel suono. Lo guardo sorridendo con tenerezza, il mio sguardo si incrocia con quello della ragazza che mi sorride a sua volta. Provo una tacita ammirazione per quella mamma che mi racconta di trecking attraverso le montagne, con il piccolo Giano in spalla.

Il suo messaggio è semplice ma importante ed universale.

> Dopo la nascita di Giano ho capito che non dovevo rinunciare alle cose che mi rendono felice, dovevo solo imparare come vivere al meglio questa nuova vita <


Abbiamo bisogno tutti di conferme, di riconoscerci, di specchiarci in un altro. Basterebbero queste parole a dare un senso alla giornata, ma è successo molto di più, ho vinto le vertigini, ho toccato le montagne con la punta delle dita, ho scoperto un nuovo sport e una nuova sfida, ho imparato dal coraggio dei grandi scalatori e da quello di un'architetta capace di rivoluzionare le linee prospettiche dell'architettura,

“Come mai sei andata fin lassù?”


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All Images and Original Text Copyright Solo Moles - Travel One 2020

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