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Piscinas è una storia a sé

Andare a Piscinas in inverno vuol dire cercare un luogo di meditazione e silenzio.

Lontane le giornate oziose e calde all’Hotel delle Dune, che da maggio e’ l’unico avamposto di questo deserto in terra sarda.

Attraverso una macchia fitta, la strada impervia si apre alla sabbia. Mi inoltro tra le dune che si susseguono come onde smisurate, incoronate da cirri gonfi di maestrale e lambite da un torrente e dal mare.

La fatica dei passi nella sabbia, il sole caldo che obbliga a liberarsi delle protezioni dal freddo, questo vuoto di umanità, l’eco delle onde, tutto zittisce i rimuginii della mente, si fa silenzio anche dentro di me.

Stregata dal paesaggio, patrimonio dell’Umanità giustamente protetto, scatto foto per fermare questo momento per sempre, per poterlo riguardare, ricordare, condividere.

Le nuvole in movimento spostano scie di luce e ombra sulla sabbia. All’orizzonte, la cresta rocciosa del monte Arcuento, l’arco del vento come dice il suo nome in sardo, altro luogo mistico per eccellenza perché nei suoi boschi di lecci secolari, un francescano di nome Lorenzo andava a meditare. Oggi ci si va per fare trekking, sperando di vedere qualche cinghiale o qualche gatto selvatico che abitano lì.

Al ritorno, vedo da lontano un gruppo di persone che si agita attorno a un uomo, una dinamica che mi è familiare, giurerei che si tratti di una piccola troupe intorno a un regista. Quando si avvicinano e vedo un gruppo di comparse africane in attesa, è indubbio che stiano per girare; chiedo del regista, è romano e stupito di trovare una collega proprio lì. Mi dice che sta per girare una scena molto corta di immigrati che attraversano il deserto, ci scambiamo i contatti, mentre riparto mi passano nella mente mille flash back dei miei set, delle mie troupe, tante sfide vinte. Ora però quello che voglio "girare" è la bellezza di questo pianeta, per viverla e comunicarla.

Riparto e me la rido davanti a un cartello che chiede di rispettare la strada “ecologica” che sto percorrendo, in realtà è una strada sterrata dove devi correre sulla sabbia per non insabbiarti e procedere a zig zag per evitare le buche più profonde, ma si può fare, anzi, è molto divertente.

Sulla strada del ritorno, si passa proprio davanti a un grande sito archeologico minerario, l'impressionante Laveria Brassey, dal nome di un lord inglese che ne era il proprietario.

Era qui, all'inizio del secolo, dove veniva convogliato tutto il materiale delle miniere di Gennamari e Ingurtosu per dividere, lavare appunto, lo zinco dalle scorie.

La storia mineraria della Sardegna ha origini antichissime e anche qui ha rimodellato il paesaggio.

Poco più avanti ecco il Pozzo Gal, accanto, una lapide ricorda i minatori che vi persero la vita.

Il pozzo in questo caso, è un foro scavato nella terra fino a circa 300 metri, dove si calava la cosiddetta gabbia che trasportava i minatori nelle gallerie di estrazione del carbone.

Tutta quest’area della Sardegna, dal Sulcis al Medio Campidano, ha vissuto l’epopea delle miniere. All’inizio, con l’entusiasmo di chi trovava finalmente un lavoro per la sussistenza, poi con la durezza di una vita ingrata, vissuta al buio, a centinaia di metri sotto il livello del mare, respirando polvere di carbone ventiquattr'ore al giorno. Infine con la scoperta che oltre agli incidenti, la

conseguenza era una malattia incurabile. Sto ancora riflettendo sullo sfruttamento delle terre e delle vite sarde da parte di compagnie straniere, mentre passo accanto a molte casette in rovina, le modeste abitazioni dei minatori. Girato il tornante, rimango sbalordita da una costruzione che si erge al di sopra di tutto e non c’entra nulla con questo territorio: un castello in stile medioevale, addirittura con bifore gotiche.

Mi fermo a leggere un cartello turistico e scopro che quel “Palazzo della direzione di Ingurtosu”, ospitava ai piani alti, il direttore tedesco che a metà dell’ottocento ispirò il progetto un po' megalomane del castello.


E’ inevitabile pensare che le miniere chiuse per la caduta dei prezzi delle materie prime, allora avevano consentito il mantenimento delle famiglie dei minatori, mentre oggi, dopo 170 anni di sacrifici e morti in miniera, nel cuore della storia mineraria, il Sulcis, la disoccupazione è tra le più alte d’Italia.


Mentre riprendo la strada di casa, un gruppo di giovani capretti ha deciso di sfidarsi a cornate proprio in mezzo alla strada, la dimensione agreste di questa meravigliosa terra ha di nuovo il sopravvento, da lì in poi i boschi sono tutti sugherete. Mi fermo per attraversarne una, alcuni alberi sono stati privati del loro “cappotto” di sughero, il taglio è stato fatto certamente l’anno scorso, perché lo effettuano in primavera. Il tronco spogliato sembra carne denudata e impressiona con il suo colore rosso scuro, in realtà se la pelle non viene danneggiata, l’albero non soffre. E' stato proprio l'interesse dell'uomo per il sughero a salvare questi boschi in tutta la Sardegna, mentre purtroppo fino agli anni 50, milioni di querce secolari sono state tagliate in modo indiscriminato.

Quando esco dalla sugheraia mi accorgo che un grande uccello volteggia sopra la mia testa, è bianco, con alti bordi grigio scuro lungo le ali e la coda, non ho mai visto questo tipo di uccello prima d’ora. Lascio Ingurtosu, la giornata piena di emozioni mi ha messo una gran fame, mi hanno consigliato la Vecchia Miniera a Guspini. anche il nome sembra avere un senso. Mentre aspetto, cerco Ingurtosu sul web per saperne di più e scopro che Il suo nome deriva da su gurturgiu, l'avvoltoio che qui chiamano grifone e che è protetto perchè ne sono rimasti pochi esemplari: la foto coincide.

Mentre addento la pizza più buona della mia vita, penso elettrizzata che oggi, proprio nel cielo di Ingurtosu, ho visto volare il mio primo grifone.


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