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Incontri lungo il cammino

Ogni incontro è un messaggio, da ricevere o da dare.


LOLLOVE: INCONTRO CON LA LEGGENDA

La primavera macchietta il paesaggio di colori e profumi, faccio fatica a tenere gli occhi sulla strada e ogni tanto mi fermo a contemplare il paesaggio. Proseguo senza fretta, il viaggio è importante quanto la destinazione, qualche volta di più.

Dopo boschi di lecci e sughere, giungo ai declivi fioriti di asfodeli delle alture che circondano la conca di Lollove. Amo questi fiori che accompagnano da sempre la vita di quest'isola, tra medicina popolare, artigianato e un miele raro, delicato, chiarissimo quasi cristallino e dal gusto unico, che trovo solo in Sardegna.

Sobbalzo sulle buche della provinciale 51, ma la cornice naturale ripaga di ogni scossone; sono nell'entroterra nuorese eppure la sensazione è di essere molto lontana dalla civiltà.

Il borgo mi accoglie con uno splendido sole e non sembra affatto il paese fantasma che si dice, anzi, è stranamente affollato di gente che risale la china verso Lollovers, l'unica locanda del luogo. In questo antico villaggio agro pastorale, non c'è posto di polizia, non c'è un medico, non ci sono scuole, non esistono bar e negozi, c'è una chiesa ma non il prete, che viene soltanto la domenica da Nuoro, Lollove ha solo quindici abitanti.

Alla locanda mi aspetta Bonaria, un "pozzo di scienza naturale" come la chiamo scherzosamente, con cui condividere il pranzo e poi una visita alle case del borgo; le più antiche sono fatte con i muri di pietra e terra, alcune circondate da muretti a secco, molte disabitate o in rovina,

La locanda è un giardino fiorito dove ci accolgono i profumi intensi di un arancio in piena fioritura, della menta piperita e del rosmarino in fiore. Intorno, i colori variegati di ortensie, lavande, petunie, gerani, l'atmosfera è gioiosa e i ragazzi della locanda molto gentili.

Tra i sapori più sorprendenti, un impagabile formaggio fresco di capra, una pasta inedita a cui Giuseppina dà la forma di piccole foglie di ulivo, colorate con verdure oppure carote, che condisce con un saporito ragu' di montone. Il vino, un Cannonao in purezza di Marreri, esalta la nostra gioia di essere qui insieme e ci accompagna attraverso i sapori della zona fino alle ricottine di pasta frolla, miele e ricotta di pecora, gustate con il limoncello fatto con i limoni del giardino.

E' una calda giornata di fine aprile, lasciamo alcuni ospiti assopiti sulle poltrone della locanda e partiamo alla scoperta di Lollove, che si pronuncia con l'accento sulla seconda o. Nel cielo terso sembra si siano date appuntamento le nuvole più belle e che giochino con le costruzioni umane addobbando la bellezza indiscussa di questo borgo.

Le casette, che hanno tetti a spioventi, coperti da tegole d’argilla e porte con architravi, sono raggruppate intorno alla Chiesa di Santa Maria Maddalena, dove una statua della Santa è posta nella grande nicchia centrale dell’altare maggiore, come attestato dall’iscrizione originaria riportata sul piedistallo della statua risale al 1601.

Una sosta al fresco del porticato e poi via, tra i vicoli in salita e in discesa, ruderi pieni di fascino ricoperti di vegetazione incolta che lascia intravedere vecchi cortili e piccoli orti abbandonati. Tra le poche case ancora vissute, asinelli, polli, maiali, cavalli e cani simpatici.

Bonaria mi spiega i nomi delle piante che via via incontriamo, ecco l'Allium Subhirsutum che si riconosce dai fiorellini bianchi ed ha delle foglie commestibili con cui fare delle ottime frittate.

Camminando, leggiamo le tavole sparse nel paese con i testi di Grazia Deledda tratti dal libro "La madre", ambientato proprio in questo borgo. Mi hanno sempre colpito i dettagli delle sue descrizioni ed eccoci qua, dopo oltre cento anni dalla scrittura di quelle pagine piene di pathos, nella Lollove sospesa tra il Medioevo e l’oggi e su cui aleggia una ‘cappa’ di inquietudine e mistero.

Intanto siamo arrivate davanti alla casa più bella del paese, le splendide aloe sono fiorite e dalla porta aperta si intravede una cucina d'altri tempi.

Si affaccia una donna, immagino che siano in molti a curiosare, ma l'ospitalità sarda prevale sulla riservatezza e Grazia ci invita nella sua cucina dove non mancano i ritratti di famiglia e tanti utensili appesi ai muri.

Un'occhiata anche alla camera da letto dove colpisce la biancheria sontuosa, ricamata da lei stessa.

Girando lo sguardo intorno penso alle stagioni che si sono avvicendate tra queste mura e alle generazioni che l'hanno abitate. Sono sicura che gli occhi di Grazia vedono ancora in ogni angolo della casa quelle presenze sovrapposte nel tempo: una nonna che impasta il pane, un bambino cullato da una giovane mamma, un uomo che accende il camino.. "..la paziente storia dei giorni che un mite calore accende, d’affetti e di memorie".

Guardo un quadretto grazioso appeso al muro, Grazia segue il mio sguardo: "Una volta dipingevo e disegnavo, ora preferisco cucire, sto facendo una coperta per mia nipote". Prima di salutarci, ci offre dei dolcetti locali, che chiamano Aranzada, fatti di scorze d'arancio candite, mandorle e miele e ci ripromettiamo di tornare a trovarla la prossima volta che andremo a Lollove.


E' la fine del pomeriggio, ci fermiamo ad ammirare un ciliegio in fiore accanto a un cancello e a chiacchierare con le due donne della casa. La conversazione cade su riti locali magico-religiosi e naturalmente sulla famosa maledizione gettata sul paese.

Sembrerebbe che Lollove sia quasi un borgo fantasma oggi, per colpa di alcune suore francescane ‘penitenti’, che in seguito alle accuse degli abitanti di relazioni carnali avvenute con i pastori del luogo, fuggirono dal monastero lanciando su Lollove questa maledizione: “Lollove as a esser chei s’abba è su mare: no as a crescher nen parescher mai!’ (Lollove sarai come acqua del mare; non crescerai e non morirai mai).

La leggenda è divenuta realtà: il borgo si è lentamente svuotato, pur resistendo alla scomparsa,

Da quello che dicono le due donne con cui stiamo parlando, sembra che le testimonianze delle anziane di Lollove confermino la leggenda che corrisponde a fatti veri tramandati nel tempo. Il giudizio delle due donne però è opposto: per una le suore si erano innamorate dei pastori, per l'altra erano donne poco serie. Su una cosa invece sono d'accordo entrambe: nei ruderi dove una volta c'era il convento e le cellette delle suore, ci sono inspiegabili presenze e si sentono strani lamenti; qualcuno del paese ha provato a passare la notte lì ma è scappato a gambe levate.

Ripensando alla maledizione, mi si affollano immagini nella mente, vorrei farlo questo film, vedo già la prima scena:

> Le suore camminano a capo chino, una dietro l'altra, sulla salita che porta alla chiesa. Il vento forte agita i veli scuri, trattenuti dalle mani arrossate dal freddo. Una suora minuta, rimasta po' indietro, si affretta per raggiungere le consorelle, saltellando tra le pietre che abbondano sul cammino. All'improvviso un forte belato mescolato al suono di campanelle irrompe nella strada, un giovane pastore sta scendendo la china con un minuscolo gregge; la suora in coda alle altre, alza lo sguardo verso un agnellino che trotterella accanto alla madre, il viso circondato da una fascia bianca appare in luce, giovanissimo e pallido. Tutto avviene in un attimo, la suorina inciampa su una pietra, ma una mano forte afferra il suo braccio e quasi la solleva. Suor Floris, questo è il suo nome, spalanca gli occhi verso chi l'ha salvata dalla caduta rovinosa. Gli occhi di lui la scrutano con pupille scure piene di sorpresa, lei si sente senza peso in quella grande mano che ancora le stringe il braccio. E' un attimo lungo come una vita, sospeso sul destino di entrambi e subito interrotto dal richiamo della Madre francescana: "Suor Floris! Suor Floris!". La piccola suora si affretta verso le consorelle, il capo chino per nascondere il bruciore che le arrossa le guance, timorosa che si possano sentire i battiti forti che le rimbombano nel petto. <


Parte 2

> Quella sera, rinchiusa nella piccola cella semibuia, suor Floris raccoglie tutte le sue forze nella preghiera. Mentre implora aiuto con voce fievole, la testa china sulle mani giunte e gli occhi chiusi, il suo corpo delicato, inginocchiato per terra accanto al letto, trema sotto la camiciola di lino spesso, ma non è l'umido che sale dal pavimento e trasuda dai muri, piuttosto un'agitazione interiore che non l'ha mai lasciata da quando è successo "quel fatto". Che lei stessa non sa come chiamare, perché è qualcosa che non conosce, che non ha mai vissuto prima.

Ha lasciato la misera cena nel piatto stasera, il suo stomaco in subbuglio non le permetteva di inghiottire nulla, e solo suor Zillia, l'altra giovane novizia con cui ha condiviso i voti, si è accorta del suo turbamento; lei però ha abbassato lo sguardo di fronte alla sua occhiata interrogativa.

Si infila nel piccolo letto, solo gli occhi emergono dalle coperte ruvide e fissano la fiamma della candela, che riverbera di riflessi dorati il biancore della fronte.; non appena li chiude, le appare quel viso. Alla fine, esausta, incrocia le braccia sul petto fragile, come le ha insegnato Suor Lucia: "Così gli angeli" le aveva detto "terranno al sicuro il tuo corpo dai demoni del peccato".

Si addormenta finalmente all'alba con il viso del pastore nella mente: "Santa Maria Maddalena aiutami tu a tenere lontani i cattivi pensieri".


Nella stessa notte qualcun altro fatica a dormire. Sdraiato per terra nel rifugio dei pastori, Anniccu fissa il fuoco che crepita al centro del piccolo spazio; gli altri dormono già sulle loro stuoie, avvolti nei gabbani, lungo le pareti rotonde del cuvile. Dore russa rumorosamente come al solito, se gli avesse detto la ragione della sua inquietudine, l'avrebbe preso in giro, lui che ama le ragazze prosperose e ammiccanti, a cui riesce sempre a carpire qualche bacio dietro il lavatoio, e anche qualcosa in più. Se ne vanta poi con gli altri, descrivendo con allusioni pesanti la forma di quel seno o di quei glutei, riscuotendo commenti e risate. E poichè lui non partecipa alle confidenze tra maschi, Dore lo redarguisce con una risata che rasenta lo scherno: "Anniccu...S’amori nou ci bogada su becciu", "L'amore nuovo cancella quello vecchio". Anche se lo dice con affetto, perchè si conoscono da quando sono nati ed è l'unico a sapere che il primo amore di Anniccu ha segnato tutta la sua infanzia.

Inquieto per quella mancanza di sonno inusuale per lui, Anniccu cerca di dormire, ma gli occhi spalancati verso i formaggi appesi a maturare sui ganci sopra il fuoco, non si vogliono chiudere. Conta i rami di ginepro e le canne che si innalzano dal muretto basso di pietre a formare il cono che è parete e tetto, ma non c'é nulla che riesca a cancellare quel piccolo viso pallido dagli occhi profondi e innocenti, che è comparso nella sua vita quel pomeriggio. Si rimprovera stizzito che non può essere così stupido, lei é poco più di una bambina, e soprattutto é una suora! Si gira su un fianco e si impone di dormire.<


Continua...


" Ratio ordinis rerum in finem (cf. I, 23,1 c.) La predestinazione è una parte della provvidenza"


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Prima di ripartire da Lollove, io e Bonaria ci sediamo sulle panche fresche della fontana del paese, un venticello fresco muove le fronde dei grandi alberi intorno e il gorgoglio dell'acqua di sorgente accarezza la pace profonda.

Arrivederci magica Lollove.


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DORGALI: INCONTRO CON L'OSPITALITA' SARDA

Mi sto dirigendo verso Dorgali tra cime di pietra rossa e comunità di cisti, lecci e ginepri. Anche i boschetti di sugheri coronano la regalità del territorio del Supramonte che si estende ai lati di una strada infinita di tornanti.

All’inizio emozionano i bordi fioriti di oleandri, poi quelli abbaglianti delle ginestre, la cui presenza entra dai finestrini spalancati con un profumo inebriante.

Non smetto di annusarlo con inspirazioni profonde, poi rido tra me e me, pensando che sto facendo un fantastico areosol di fiori.

Passando sopra un ponte, lancio un’occhiata giù pensando di vedere il solito alveo asciutto, invece c’è dell'acqua, da dove spuntano centinaia di oleandri fioriti; trovo un piccolo spiazzo per fermarmi a guardarli. Sembrano danzatrici in fila, le fronde verso il cielo come braccia mutate in rami, i tronchi sembrano corpi aggraziati ricoperti di corteccia leggera. Mi fanno pensare alla meravigliosa scultura del Bernini e a Dafne, la ninfa trasformata in un albero per sfuggire al desiderio di Apollo.

Proseguo verso il paese sempre più rapita dal paesaggio; abbondanza di bellezza per un borgo che appare distratto.


A Dorgali mi accoglie la calda ospitalità di Bertina e Pierpaolo. Le colazioni pantagrueliche di Bertina spaventerebbero anche un Serial Eater, ma la sua grazia e il suo sorriso non permettono un rifiuto.

IDR


ONIFERI: INCONTRO CON LE JANAS

Pierpaolo mi invita a visitare le Domus de Janas di Sas Concas, a Oniferi; si trovano in mezzo alla campagna e non sono segnalate, quindi difficili da raggiungere ma molto interessanti. Accetto con entusiasmo, inizia l'avventura.


Camminiamo nell'erba alta, mi hanno raccomandato di controllare spesso che nessuna zecca si sia infilata sotto i miei pantaloni. Me ne dimentico subito davanti a un fantastico campo fiorito di Daucus Carota, un fiore che amo moltissimo per la sua delicatezza che fa pensare a una trina formata da centinaia di fiorellini bianchi raccolti intorno ad uno centrale rosso scuro.

I fiori hanno delle piccole ghiandole profumate che attirano gli insetti e dopo la fecondazione si chiudono come minuscoli nidi d'uccello. Il Daucus è anche una pianta medicinale e cresce in tutto il mondo sin dall'alba del mondo, ne è stato trovato uno fossile di 1,3 milioni di anni sull'isola di Madeira, nell'Oceano Atlantico.


In mezzo a questo campo fiorito il sito delle Domus de Janas appare come in un dipinto, invece è reale, siamo qui e quelle minuscole porte scavate nella roccia rossa, sono le entrate delle "case delle fate", le antiche tombe, che la narrazione popolare vuole abitate da minuscole fate.

Le Domus sono numerose, disseminate in questo costone di trachite che attraversa la campagna, Maria Giovanna e Pierpaolo si arrampicano dentro, io li seguo, bisogna proprio entrarci per capire le loro minuscole dimensioni.

Rannicchiata dentro una delle Domus, osservo i codici misteriosi incisi sulle pareti.

Li chiamano i "capovolti", ovvero uomini stilizzati a testa in giù, che dovrebbero rappresentare gli antenati defunti in procinto di raggiungere l’ ultra terreno. Sembra che l’interpretazione del “capovolto” trovi un riferimento nell’ideologia funeraria egizia, che concepiva il regno dei morti come il mondo dei capovolti. Potrebbe essere che questa ideologia sia proseguita attraverso gli Etruschi fino a influenzare la Magna Grecia e che i Sardi abbiano fatta propria questa concezione, magari trasmettendola a loro volta.

Pierpaolo mi racconta che un professore francese, un ricercatore che ha accompagnato qui, gli ha spiegato che se si uniscono le voci si può sentire il magnetismo di questo luogo; e allora proviamoci.

La sensazione è di viaggiare tra passato, presente e futuro, che il tempo non esista.

Credo che ci muoviamo tutti in una misteriosa danza cosmica.


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VILLAPUTZU: INCONTRI A COLAZIONE

Nella grande casa di Marianna a Villaputzu, piena di oggetti antichi di artigianato sardo e di libri, aleggiano le presenze delle generazioni che l'hanno abitata. Stamattina, altri due ospiti sono in cucina, facciamo colazione insieme scambiandoci informazioni e aneddoti di viaggio. Lisa e Shahin sono svedesi e, tra un biscotto e l'altro, la conversazione scorre vivace come sempre quando dei viaggiatori si incontrano. Prima di salutarci mi invitano a Stoccolma, promettendo di portarmi con la loro barca in alcune isole poco conosciute e assolutamente da visitare. Mi siedo nel bellissimo giardino della casa, pensando che forse un giorno andrò nelle fredde terre del nord, ma per ora sono nel mio paradiso preferito, terra sarda!


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MURAVERA: INCONTRO CATARTICO

Oggi ho trascorso tutto il tempo inchiodata allo schermo del pc, ho dovuto riprendere le fila del mio lavoro, mail, meeting, un progetto impegnativo, ora è già tardi, ma ho bisogno di camminare. Mi dirigo verso sud, il primo paese che incontro è Muravera, parcheggio davanti a un vicolo che porta al centro storico e mi inoltro nell'intrico di stradine deserte e poco illuminate, il silenzio é profondo, le luci delle case spente. Amo camminare di notte, in questo vuoto di vita anche la mente tace e resta solo lo sguardo su questo pezzetto di mondo che sembra disabitato. Arrivo per caso davanti a un portico antico che unisce due case, belli anche i portali con l'arco a tutto sesto.

E' proprio mentre sto scattando l'ennesima fotografia che un ragazzo entra nella mia inquadratura, giro lo sguardo, sono in due e sono piuttosto incuriositi dalla mia presenza, mi dicono che è strano vedere qualcuno in giro a quest'ora. Si presentano, Davide e Simone, vivono lì vicino. Cominciamo a chiacchierare, mi parlano del paese, della loro vita lì e della voglia che hanno di partire, un cane di una casa accanto non apprezza affatto la conversazione e si agita abbaiando a più non posso.

Davide mi invita a continuare la conversazione a casa sua, naturalmente rifiuto spiegando che non vado di notte a casa di uno sconosciuto. Allora mi propone di mettere delle sedie in strada davanti al cancello di casa, è lì accanto, accetto, si può fare.

Scopriamo di essere tutti e tre degli artisti, così mi propongono di scrivere qualcosa a sei mani. D'accordo, vediamo se ci riusciamo. Propongo di iniziare da "Non gli perdonai niente", una frase che Davide ha detto parlandomi della sua famiglia, perché nel momento in cui ha avuto più bisogno gli ha voltato le spalle.

Le frasi si compongono quasi da sole, Davide scrive a mano su un foglio e in questa sorta di creazione quasi catartica, Simone ascolta in silenzio, ma alla fine é lui a trovare il titolo:

CARENZA D’AMORE

Non gli perdonai niente

Questo sangue comune che mente

Un silenzio che manca d'amore

Di famiglia ha soltanto l'odore

Rifiutata la mano richiesta

La mia vita non era una festa

Ma alla fine la mente s'è desta

Il perdono nasceva improvviso

Quando tutto sembrava perduto

La mia pancia urlava un saluto

All'assurdo che avevo vissuto

Questo sangue comune che mente

Un silenzio che manca d'amore

Di famiglia ha soltanto l'odore

Ma la vita va avanti veloce

Ci divora. E' una belva feroce.

NON PERDEUSU TEMPU

E’ ORA DE COGLI SU ENTU


Prima di ripartire, scatto le foto dei ragazzi, è stata una serata rara, speciale.

Le parole evocate direttamente dall'anima, senza filtri mentali, senza giochi di maschere.

Non so se Davide abbia davvero perdonato la sua famiglia, ma io spero di sì.


CONTINUA..

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